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Pensione di reversibilità: spetta al figlio maggiorenne, inabile al lavoro e a carico del genitore defunto

reversibilità

In caso di morte del genitore pensionato, il figlio superstite ha diritto alla pensione di reversibilità qualora sia maggiorenne, inabile al lavoro e qualora fosse a carico del genitore al momento del decesso di questi; tale ultimo presupposto, nel caso in cui difetti una convivenza o una situazione di totale soggezione finanziaria del soggetto inabile, si verifica quando il genitore provvedeva, in via continuativa e in misura quanto meno prevalente, al mantenimento di costui.

La Suprema Corte ha precisato quanto sopra decidendo sul ricorso di una figlia che, avanti la Corte di Cassazione, in riforma della sentenza di primo grado del Tribunale, si era vista negare la pensione di reversibilità del genitore defunto; nello specifico, la Corte riteneva non fosse stato sufficientemente provato, mediante le prove testimoniali acquisite in corso di causa, il requisito in capo alla donna della vivenza a carico del defunto genitore.

La figlia è pertanto ricorsa in Cassazione, la quale ha – appunto – rammentato, secondo il condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimità, che in caso di morte del pensionato il figlio superstite ha diritto alla pensione di reversibilità, ove maggiorenne, se riconosciuto inabile al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di questi. In particolare, il requisito della vivenza a carico non si identifica indissolubilmente con lo stato di convivenza e neanche con una situazione di totale soggezione finanziaria del soggetto inabile, ma va considerato con particolare rigore, essendo necessario dimostrare che il genitore provvedeva, in via continuativa e in misura quanto meno prevalente, al mantenimento del figlio inabile.

La Corte ha altresì precisato che grava sul figlio superstite che fa valere in giudizio il diritto alla pensione di reversibilità, ai sensi dell’art. 2697 c.c., l’onere di provare il fatto costitutivo di tale diritto e,

pertanto, il giudice non potrà sopperire alle carenze probatorie imputabili alle parti, in quanto il suo potere di ammettere d’ufficio mezzi di prova a norma dell’art. 421 c.p.c. è solo finalizzato ad integrare un quadro probatorio già tempestivamente delineato dalle parti.

Nel caso esaminato, la Cassazione ha ritenuto che la Corte d’Appello si fosse correttamente attenuta a tali principi, giacchè la figlia esclusa dal beneficio non aveva tempestivamente introdotto elementi idonei e decisivi volti a dimostrare, in un delicato e conflittuale contesto familiare, il costante mantenimento da parte del genitore fino al momento del decesso.

Il ricorso è stato pertanto dunque rigettato.

Cassazione Civile, 13.04.2018, n. 9237

Cassazione Civile, 13-04-2018, n. 9237