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Il rifiuto di sottoporsi al test del DNA fa presumere la paternità

paternità

Il rifiuto ingiustificato del presunto padre a sottoporsi ad indagini ematologiche è un elemento probatorio di così alto valore indiziario tale da poter dimostrare da solo la fondatezza dalla domanda di riconoscimento di paternità avanzata dalla presunta figlia.

La Corte di Cassazione ha così stabilito nell’ordinanza n. 14458, qui sotto allegata, in un procedimento per la dichiarazione di paternità del presunto padre biologico.

Nel caso esaminato, il Tribunale e la Corte d’Appello di Genova avevano dichiarato la paternità sulla base: a) dell’incontroversa relazione sentimentale e convivenza con la madre all’epoca presunta del concepimento; b) delle deposizioni testimoniali in ordine alla presenza dell’uomo alle visite mediche relative alla gravidanza; c) delle riproduzioni fotografiche che ritraevano i presunti padre e figlia insieme durante i primi anni di vita di quest’ultima; d) dell’ingiustificato rifiuto dell’uomo a sottoporsi al test del DNA.

Ha presentato, dunque, ricorso in Cassazione il presunto padre sminuendo gli elementi fattuali emersi nei precedenti giudizi e denunciando l’eccessiva rilevanza attribuita al suo diniego a sottoporsi alle indagini ematologiche.

La Suprema Corte ha, in via preliminare, ribadito l’orientamento giurisprudenziale, correttamente applicato dalla Corte d’Appello (rifiuto-ingiustificato-sottoporsi-ctu-genetica-sufficiente-fondare-convincimento-del-giudice-sulla-paternita/), secondo cui l’ingiustificato rifiuto a sottoporsi al test del DNA è un elemento di fondamentale importanza sì da poter fondare da solo il riconoscimento di paternità.

 A tal riguardo ha altresì evidenziato come, seppur il nostro ordinamento riconosca ad un soggetto piena facoltà di determinazione in merito all’assoggettamento o meno ai prelievi, tuttavia è pienamente consentito al Giudice trarre da tale comportamento un rilevante elemento di prova, senza che ciò possa inficiare in alcun modo il diritto di difesa costituzionalmente garantito.

Inoltre, la Cassazione ha sottolineato come “il rifiuto aprioristico della parte a sottoporsi ai prelievi non può ritenersi giustificato nemmeno con esigenze di tutela della riservatezza”, tenuto conto del fatto che il sanitario che compie l’accertamento è tenuto al segreto professionale.

La Suprema Corte ha pertanto rigettato il ricorso e confermato la paternità del ricorrente.

Cassazione Civile, 05.06.2018, n. 14458

Cassazione Civile,05-06-2018 n. 14458