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Parti comuni dell’edificio: la comunione si presume

comuni

Con l’ordinanza n. 27636/18 depositata il 30 ottobre, la Cassazione ha precisato che la comproprietà delle parti comuni di un edificio sorge nel momento in cui più soggetti divengono proprietari esclusivi delle varie unità immobiliari.

Facendo applicazione di detto principio, la Corte ha risolto la questione posta alla sua attenzione in ordine alla possibilità o meno di ritenere comune la parte di un immobile che i ricorrenti avevano affermato essere di loro proprietà esclusiva (trattavasi di un piccolo locale adibito a servizio igienico, derivante da una divisione immobiliare, che essi utilizzavano in via esclusiva).

In particolare la Suprema ha ribadito quanto già affermato in precedenti pronunce, ed in particolare che:

– dalla data di trascrizione dei singoli atti di acquisto di proprietà che costituiscono l’edificio e che danno vita al condominio, la situazione condominiale riferita anche alle parti comuni è opponibile ai terzi;

– nel caso di frazionamento della proprietà di un edificio a seguito del trasferimento dall’originario unico proprietario, si determina una situazione di presunzione legale di comunione pro-indiviso di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, appiano destinate all’uso comune;

– la presunzione di comunione delle parti dell’edificio destinate a soddisfare esigenze generali del condominio, viene superata qualora risulti dal titolo una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente ad uno dei condomini la proprietà della parte contestata e di escludere gli altri: spetta a chi ne reclama la proprietà esclusiva l’onere di fornire prova della non condominialità del bene.

Nel caso concreto esaminato, la Corte ha rilevato come la Corte d’Appello avesse correttamente ritenuto condominiale la parte oggetto del contendere, poiché:

– si trattava originariamente di un piccolo anfratto adiacente al cortile rientrante per le sue caratteristiche nell’elenco di parti comuni previste dall’art. 1117 c.c.;

– le risultanze catastali non smentivano siffatta destinazione, non emergendo dalle medesime alcun riferimento idoneo ad escludere la presuntiva destinazione di uso comune.

La Cassazione, dunque, ha rigettato il ricorso giacché i ricorrenti non avevano dato alcuna prova volta a far ritenere di loro esclusiva proprietà la parte in oggetto.

Cassazione Civile, 30.10.2018, n. 27636

Cassazione Civile, 30-10-2018, n. 27636