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35 anni disoccupata: niente mantenimento dal padre

Trentacinquenne disoccupata? Niente assegno dal padre

Revocato l’obbligo di mantenimento della figlia trentacinquenne che non lavora e non ha problemi di salute.

Decisiva la constatazione che la mancata indipendenza economica della ragazza è addebitabile alla sua condotta di vita ed al mancato impegno nel reperimento di un’attività lavorativa.

Per contro sono irrilevanti le ottime condizioni economiche del padre titolare di diversi fabbricati e terreni e che ha altresì acquisito un bene in via ereditaria.

Di conseguenza, poiché la mancata «indipendenza economica» è addebitabile alle scelte compiute dalla ragazza, è illogico, concludono i giudici, pretendere che il genitore contribuisca ancora al suo mantenimento.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 7 luglio – 25 settembre 2017, n. 22314
Presidente Genovese – Relatore Lamorgese
Fatti di causa

Con decreto 3 maggio 2015, la Corte d’Appello di Roma ha accolto il reclamo di Gi. Vi. avverso l’ordinanza del Tribunale di Roma che aveva rigettato la sua domanda di revoca del contributo di mantenimento della figlia maggiorenne Gi., disposto a favore dell’ex coniuge Di Ma. Gi., rilevando che erano venute meno le relative condizioni, non essendosi la figlia, trentacinquenne, neppure attivata per la ricerca di un lavoro successivamente al compimento del diciottesimo anno di età e non essendo affetta da patologie che ne riducessero la capacità lavorativa.
La Di Ma. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi e a una memoria; Vi. non ha svolto difese.

Ragioni della decisione

Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato falsa applicazione dell’art. 739 c.p.c, non avendo la Corte di merito considerato che il reclamo era tardivo, a norma dell’art. 739, comma 2, c.p.c, in quanto proposto (con atto notificato il 15 aprile 2014) oltre il termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione del decreto da parte del cancelliere (in data 25 marzo 2015).
Il motivo è infondato. Nei procedimenti in camera di consiglio che si svolgono nei confronti di più parti ed anche in quelli contenziosi assoggettati per legge al rito camerale, qual è quello disciplinato dall’art. 9, comma 1, della legge n. 898/1970, salvo che non sia diversamente disposto in modo espresso, è la notificazione del decreto, effettuata ad istanza di parte (e non la comunicazione da parte del cancelliere), idonea a far decorrere – tanto per il destinatario della notifica che del notificante – il termine di dieci giorni per la proposizione del reclamo, ai sensi dell’art. 739, comma 2, c.p.c. (Cass. n. 4482/2003). E’ inammissibile l’ulteriore censura di omessa pronuncia sull’eccezione di tardività del reclamo, alla luce del principio secondo cui il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito (Cass. n. 321/2016).
Con il secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. ed erronea valutazione delle prove e della documentazione prodotta in primo grado, essendo infondata la richiesta del Vi. di revoca del provvedimento di mantenimento della figlia e non avendo la Corte valutato le ottime condizioni economiche del Vi., il quale era titolare di diversi fabbricati e terreni e aveva acquisito bene in via ereditaria.
Il motivo è inammissibile in entrambi i profili in cui è articolato: nella parte in cui si sofferma sulle condizioni reddituali del Vi., perché non coglie la ratio deciderteli del provvedimento impugnato, che è costituita dall’insussistenza delle condizioni per la permanenza dell’obbligo di corrispondere il contributo di mantenimento per la figlia (trentacinquenne), all’esito di un esauriente accertamento di fatto circa la complessiva condotta personale tenuta dall’interessata dal momento del raggiungimento della maggiore età, visto il mancato impegno per la ricerca di un’occupazione lavorativa (v. Cass. n. 12952/2015); nella parte in cui denuncia la violazione dell’art. 116 c.p.c, perché mira ad una impropria revisione dell’accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito (la violazione del menzionato parametro normativo è configurabile solo allorché il giudice apprezzi liberamente una prova legale, oppure si ritenga vincolato da una prova liberamente apprezzabile, v. Cass. n. 11892/2016, n. 13960/2014).
Con il terzo motivo è denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c. per l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, non avendo la Corte di merito verificato la produzione medica riguardante lo stato di salute di Vi. Gi., affetta da una malattia degenerativa che minerebbe la sua capacità lavorativa.
Il motivo è inammissibile: non v’è stata omessa pronuncia, risolvendosi il motivo in un’impropria istanza di revisione degli elementi probatori posti a sostegno dell’accertamento di fatto compiuto in concreto dai giudici di merito, in ordine alla questione dell’indipendenza economica della figlia. A tale riguardo la sentenza impugnata ha fatto applicazione del principio secondo cui l’obbligo del genitore separato o divorziato di concorrere al mantenimento del figlio (nella specie, di 35 anni) perdura finché il genitore interessato non dia prova che il figlio sia stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta (tra le tante, Cass. n. 1773/2012).
Con il quarto motivo la ricorrente ha denunciato la violazione degli artt. 101 e 116 c.p.c. e 111 Cost. e del principio del contradditorio, avendo il Vi. depositato la propria documentazione fiscale oltre i termine fissato dal Collegio e avendo ciò compromesso l’esercizio del diritto di difesa.
Il motivo è inammissibile, poiché non coglie la ratio decidendi, costituita dal rilievo della imputabilità alla figlia della lamentata condizione di non autosufficienza economica, come si è osservato in risposta al secondo motivo.
Il ricorso è rigettato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
Roma, 7 luglio 2017.