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Marito violento: addebito della separazione a suo carico

A fronte alla condotta violenta e dispotica di uno dei coniugi, il Giudice deve pronunciare l’addebito della separazione a suo carico senza che sia necessario comparare dette condotte con il comportamento dell’altro coniuge, trattandosi di atti particolarmente gravi.

La Corte di Cassazione si è trovata a precisare questo principio decidendo sul ricorso proposto da una donna che, sia in primo grado che in appello, si era vista respingere la richiesta di addebito a carico del marito violento, il quale aveva dedotto che la moglie era venuta meno ai suoi doveri coniugali in quanto lo stesso si era rifiutato di adottare il figlio naturale della donna.

La Cassazione ha tuttavia ribaltato dette decisioni, rilevando che le reiterate violenze fisiche e morali inflitte da un coniuge all’altro costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, esse sole, non soltanto la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all’autore delle stesse.

La Suprema Corte ha altresì precisato – richiamando precedenti giurisprudenziali in merito – che, ai fini dell’adozione delle relative pronunce, il loro accertamento esonera il giudice del merito dal dovere di procedere alla comparazione con il comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei.

Per converso, in violazione di tali principi, la Corte d’Appello (e prima ancora il Tribunale) aveva omesso di considerare l’efficacia causale della condotta violenta del marito sulla crisi coniugale, effettuando un’erronea comparazione tra la condotta attribuita alla moglie e quella ascritta al marito, ritenendo che la crisi coniugale fosse stata innescata anche dal comportamento della donna, venuta meno a sua volta ai doveri familiari.

Cassazione Civile, 10.12.2018, n. 31901

Cassazione Civile, 10-12-2018, n. 31901