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La durata del matrimonio rileva per quantificare l’assegno di divorzio

Alla moglie che non gode di indipendenza o autosufficienza economica, va riconosciuto il diritto all’assegno di divorzio, da quantificarsi tenendo conto implicitamente anche della durata del matrimonio.

La Corte di Cassazione, richiamando il recente revirement in tema di assegno di divorzio, che ha abbandonato il criterio del tenore di vita goduto durante il matrimonio ai fini del riconoscimento del contributo, ha precisato il principio suindicato pronunciandosi sul ricorso di un uomo. Nello specifico, nell’ambito del giudizio di divorzio dalla moglie, questi si era visto condannare sia dal Tribunale sia dalla Corte d’Appello, al versamento di un assegno divorzile di 500,00 eoro in favore dell’ex coniuge.

Si è rivolto alla Suprema Corte, lamentando una errata valutazione di merito in ordine alle rispettive situazioni economiche dei coniugi.

La Cassazione, dichiarando inammissibile il ricorso, ha confermato che l’assegno divorzile va riconosciuto all’ex coniuge laddove il giudice di merito valuti ed escluda la sua autosufficienza economica (fase di accertamento dell’an debeatur): nel caso di specie – ad avviso della Corte – in sede di appello aveva correttamente escluso la sussistenza di tale indipendenza della donna (e dunque del diritto al contributo), rilevando la sua limitata capacità e possibilità effettiva di lavoro personale e di reddito, non destinata a incrementarsi in futuro; la disponibilità di una casa di abitazione nonché la mancata fruizione di trattamenti pensionistici. Circostanze che la moglie aveva allegato (gravando sulla stessa l’onere probatorio quale coniuge richiedente) e che avevano trovato risconto negli accertamenti svolti dalla polizia tributaria nel corso del giudizio.

In relazione alla quantificazione in concreto della somma (fase di accertamento del quantum debeatur), tenendo presenti una serie di criteri suggeriti dalla legge e dalla giurisprudenza, la Corte ha considerato il reddito mensile a disposizione dell’ex marito, il venir meno dell’obbligo contributivo mensile in favore della figlia ormai maggiorenne ed economicamente autosufficiente, l’onere su di lui gravante per il pagamento di un canone mensile di locazione per la sua abitazione, l’esistenza di un contenzioso tra i coniugi relativo alla vendita della casa familiare, nonché implicitamente la durata del matrimonio (quasi 27 anni al momento della omologazione della separazione consensuale).

La Corte ha, pertanto, ritenuto congruo nella misura di euro 500,00 mensili il contributo mensile disposto in primo grado a suo carico, al fine di sopperire alla condizione di non autosufficienza della ex moglie.

Cassazione Civile, 23.03.2018, n. 3742

Cassazione Civile, 23-03-2018, n. 7342