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Nullo il patto di maggiorazione del canone di locazione ad uso non abitativo

locazione

In tema di locazione immobiliare ad uso diverso dall’abitazione, il patto con cui le parti concordino un canone superiore rispetto a quello dichiarato è nullo e, trattandosi di nullità vitiatur sed non vitiat, esso solo patto è nullo a prescindere dall’avvenuta registrazione.

La Cassazione è tornata ancora una volta a parlare degli effetti dei patti di maggiorazione del canone conclusi dalle parti.

Nel caso concreto, una S.n.c. aveva proposto avanti la Corte d’Appello gravame avverso la sentenza con la quale il Tribunale aveva rigettato la domanda riconvenzionale nei confronti del locatore di restituzione delle somme versate in eccedenza rispetto al canone di locazione dovuto.

La società è pertanto ricorsa in Cassazione lamentando che la pattuizione dell’aumento del canone conclusa dalle parti fosse eccedente rispetto a quanto previsto dagli indici ISTAT e che la Corte avesse erroneamente dichiarato la nullità della controdichiarazione rilasciata contestualmente alla stipula del contratto di locazione.

La Corte Suprema ha ritenuto fondato il ricorso, richiamando precedenti giurisprudenziali secondo i quali, in tema di locazione immobiliare ad uso diversa da abitazione, è nullo il patto con cui le parti concordino un canone superiore a quello dichiarato e, trattandosi di nullità vitiatur sed non vitiat, è il solo patto di maggiorazione ad essere colpito da insanabile nullità a prescindere dall’avvenuta registrazione.

Nel caso esaminato, invece, il Giudice di secondo grado aveva escluso la nullità per essere stato il canone pattuito contestualmente alla stipulazione del contratto, negando dunque di essere in presenza di un “aumento” del canone stesso.

La Cassazione ha altresì precisato che, stante la libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobile ad uso diverso da abitazione, è legittima la clausola con cui si determini un canone in misura differenziata, crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, purchè esso sia ancorato ad elementi certi e predeterminati e sempre che non risulti una sottostante volontà delle parti volta, in realtà, a perseguire surrettiziamente lo scopo di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria e ad eludere i limiti del c.d. “equo canone”.

Nella fattispecie, la Corte ha riconosciuto che la pattuizione dei contraenti fosse in effetti volta a perseguire proprio tale vietata finalità, unitamente a quella di risparmio fiscale per il locatore, ed ha dunque accolto il ricorso della società.

Cassazione Civile, 13.11.2018, n. 29016

Cassazione Civile, 13-11-2018, n. 29016