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Manutenzione di immobili in comunione: niente rimborso spese se non c’era il consenso dell’ex separato

comunione

Il coniuge non ha diritto al rimborso delle spese sostenute per la manutenzione degli immobili in comunione, anche dopo lo scioglimento della medesima dovuto a separazione, se non vi è stato  consenso dell’altro coniuge comproprietario.

La Corte di Cassazione lo ha recentemente precisato decidendo in merito al ricorso di un marito che, sia dinanzi al Tribunale che alla Corte d’Appello, si era visto respingere la richiesta di rimborso delle spese sostenute per i lavori di manutenzione effettuati sull’immobile in comunione con la moglie e quale amministratore della comunione dei beni, anche successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di separazione (dunque anche dopo lo scioglimento della comunione medesima).

La Corte d’Appello, in particolare, aveva osservato che il marito, durante la convivenza matrimoniale, aveva esercitato il normale potere di amministrazione disgiunta del bene comune, mentre, in seguito allo scioglimento della comunione avvenuto con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione, l’uomo non avrebbe potuto compiere atti di amministrazione senza il consenso dell’altro comunista (titolare del pari diritto di concorrere nella amministrazione della cosa comune ai sensi dell’art. 1105 c.c.); consenso che nel caso di specie non era stato preventivamente richiesto. In sostanza, secondo il giudice di secondo grado, gli unici atti consentiti sarebbero stati quelli conservativi (in caso di inattività o trascuranza dell’altro compartecipe), mentre per l’amministrazione e l’esecuzione delle attività già deliberate sarebbe stato ammesso, in caso di dissenso o inerzia della ex moglie, il ricorso all’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 1105 c.c., comma 4.

Ricorrendo in Cassazione, l’uomo ha richiamato il principio della delegabilità dell’amministrazione ad uno o più comunisti, ritenendo errata la sentenza nella parte in cui non lo aveva riconosciuto come amministratore dei beni in comunione.

La Suprema Corte, tuttavia, ha condiviso la sentenza d’appello che aveva escluso la possibilità della sua nomina ad amministratore durante la convivenza matrimoniale, stante il principio della amministrazione disgiunta (art. 180 cc) e della inderogabilità delle norme sull’amministrazione (art. 210, comma 3, c.c.).

Nello specifico, la Corte ha richiamato il principio secondo cui, in tema di spese di conservazione della cosa comune, l’art. 1110 c.c., escludendo ogni rilievo dell’urgenza o meno dei lavori, stabilisce che il partecipante alla comunione, il quale, in caso di trascuranza degli altri compartecipi o dell’amministratore, abbia sostenuto spese necessarie per la conservazione della cosa comune, ha diritto al rimborso, a condizione di aver precedentemente interpellato o, quantomeno, preventivamente avvertito gli altri partecipanti o l’amministratore. Solo in caso di inattività di questi ultimi, egli può procedere agli esborsi e pretenderne il rimborso, pur in mancanza della prestazione del consenso da parte degli interpellati, incombendo comunque su di lui l’onere della prova sia della suddetta inerzia che della necessità dei lavori.

Nel caso esaminato, detto onere probatorio non risulta essere stato assolto e, pertanto, l’uomo ha visto nuovamente respingere la propria domanda di rimborso.

Cassazione Civile, 23.08.2017, n. 20283

Cassazione Civile, 23-08-2017, n. 20283